Agevolazioni “Prima Casa” e unità immobiliari contigue

Domanda:
👉 Ho acquistato due unità immobiliari contigue con l’agevolazione “prima casa”, ma non le ho ancora fuse catastalmente. Rischio di perdere i benefici fiscali?

Risposta:
No, non necessariamente. La Corte di Cassazione (ord. n. 25866/2025, depositata il 22/09/2025) ha chiarito che, in caso di acquisto di più unità immobiliari contigue con agevolazioni “prima casa”, ciò che conta non è la fusione catastale, ma l’effettiva unificazione materiale degli immobili entro tre anni dall’acquisto 🏠✨.

📌 I punti chiave della pronuncia:

  • Agevolazione ammessa anche per più unità contigue: i benefici fiscali spettano se le unità formano, nel complesso, un’unica abitazione non di lusso.

  • Tre anni di tempo: entro il termine triennale (lo stesso concesso all’Agenzia delle Entrate per i controlli) deve essere realizzata la fusione “di fatto” degli immobili, ossia l’unificazione strutturale e funzionale.

  • Prova a carico del contribuente: è il contribuente che deve dimostrare la reale unificazione (ad esempio con lavori edilizi, scala interna, planimetrie, fotografie, ecc.).

  • Accatastamento non obbligatorio: la variazione catastale (fusione) è utile come prova, ma non è un requisito da completare entro i tre anni.

⚖️ Il caso concreto:

Un contribuente aveva acquistato due piani sovrastanti dello stesso edificio, collegati da una scala interna ma accatastati separatamente. L’Agenzia delle Entrate aveva revocato le agevolazioni per mancanza della fusione catastale. Dopo un percorso giudiziario complesso, la Cassazione ha ribaltato le decisioni di secondo grado, confermando che l’unificazione materiale era sufficiente a garantire i benefici.

🚨 Conseguenze pratiche:

  • Se entro 3 anni non viene realizzata la fusione materiale, il contribuente decade dalle agevolazioni e deve restituire le imposte risparmiate, con sanzioni e interessi.

  • Se la fusione viene realizzata ma non accatastata entro lo stesso termine, le agevolazioni restano valide, purché si dimostri l’unicità dell’abitazione.


In sintesi: per conservare le agevolazioni “prima casa” in caso di acquisto di più unità contigue, conta la realtà sostanziale e non il mero adempimento catastale. L’accatastamento può venire dopo, l’importante è che entro tre anni sia realizzata la casa unica abitabile.

❓ FAQ – Come si possono legittimamente distruggere o smaltire i beni aziendali?

Domanda

Un imprenditore ha eliminato dei beni aziendali senza formalità e senza avvisare l’Amministrazione. Ci sono conseguenze?

Risposta

Sì ✅. La distruzione o rottamazione dei beni aziendali deve essere documentata in modo preciso per evitare la presunzione di cessione (art. 1 DPR 441/1997), che porterebbe a considerare i beni come venduti con conseguente obbligo IVA e rischio di sanzioni.

Le procedure ammesse sono alternative e dipendono dal valore dei beni e dal metodo scelto:


1️⃣ Procedura ex DPR 441/1997

È la procedura classica prevista per la distruzione volontaria:

  • Comunicazione preventiva: invio almeno 5 giorni prima ad Agenzia Entrate e Guardia di Finanza con data, ora, luogo, modalità di distruzione, natura e valore dei beni, eventuale valore residuo.

  • Verbale:

    • obbligatorio se i beni valgono oltre 10.000 € (redatto da AE, GdF o notaio);

    • sostituibile con dichiarazione sostitutiva se il valore è inferiore a 10.000 €.

  • DDT numerato: per eventuali residui derivanti dalla distruzione.


2️⃣ Conferimento a smaltitore autorizzato ♻️

In alternativa, i beni possono essere conferiti a un soggetto autorizzato allo smaltimento rifiuti.

  • In questo caso la prova della distruzione è data dal Formulario di identificazione rifiuti (FIR), che deve riportare: produttore/detentore, tipologia e quantità del rifiuto, impianto di destinazione, data e percorso, destinatario.

  • La Cassazione (ord. 26223/2021) ha confermato che in caso di conferimento diretto allo smaltitore, non occorre seguire la procedura del DPR 441/1997: il FIR costituisce piena prova della distruzione.


3️⃣ Autoconsumo o cessione ai soci

La società può assegnare i beni ai soci che si occuperanno dello smaltimento.

  • L’operazione deve essere fatturata e assoggettata a IVA se al momento dell’acquisto l’IVA era stata detratta;

  • se non era stata detratta, l’operazione è fuori campo IVA.


4️⃣ Procedura semplificata per beni di valore inferiore a 10.000 €

Introdotta dal D.Lgs. 70/2011:

  • obbligo di comunicazione preventiva ad Agenzia Entrate;

  • possibilità di sostituire il verbale con una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, contenente data, ora, luogo, natura, quantità e valore dei beni distrutti.


Conseguenze se non si segue alcuna procedura ⚠️

  • I beni si presumono ceduti ai fini IVA;

  • si rischiano sanzioni fiscali e la ripresa a tassazione del valore delle rimanenze.


📌 In sintesi:

  • Se distruggi i beni direttamente in azienda → segui la procedura DPR 441/1997.

  • Se li consegni a uno smaltitore autorizzato → basta il Formulario rifiuti (FIR).

  • Se li assegni ai soci → serve fattura e corretta gestione IVA.

  • Se il valore è inferiore a 10.000 € → è possibile la procedura semplificata con autocertificazione.

🧱 Come devono essere valutate le rimanenze? Focus sul settore edile

In ambito contabile, la corretta valutazione delle rimanenze è un passaggio cruciale per una rappresentazione veritiera e corretta del bilancio. Questo è particolarmente vero per le imprese che operano su commessa, come nel caso delle imprese edili 🏗️.

Vediamo insieme quali criteri adottare e come applicarli con un esempio concreto.


📘 Cosa prevede il Codice Civile?

Secondo l’art. 2426 c.c. comma 1 n. 9:

“Le rimanenze devono essere iscritte al costo di acquisto o di produzione, ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore.”

In caso di lavori in corso su ordinazione, si può invece optare per la valutazione:

  • al costo (criterio della commessa completata),

  • oppure sulla base del corrispettivo maturato con ragionevole certezza (criterio della percentuale di completamento).

Questa seconda opzione è particolarmente indicata per commesse pluriennali, tipiche nel settore delle costruzioni.


🧾 Quando applicare il criterio della percentuale di completamento?

L’OIC 23 consente di applicare questo criterio se sussistono tutte queste condizioni:
✅ Esiste un contratto vincolante tra le parti;
✅ Il diritto al corrispettivo matura progressivamente con l’avanzamento dei lavori;
Non vi sono incertezze gravi sulle obbligazioni contrattuali;
✅ Il risultato economico della commessa è misurabile in modo attendibile.


📅 Cosa si intende per commessa ultrannuale?

Una commessa è definita ultrannuale quando la sua esecuzione si protrae oltre i dodici mesi, ovvero:

  • il periodo tra l’inizio effettivo dei lavori (non necessariamente la firma del contratto),

  • e il completamento delle opere (o servizi)
    è maggiore di un anno.

❗️Non conta quando è stato firmato il contratto, ma la durata effettiva dell’esecuzione tecnica del progetto. Questo è molto frequente nel settore edile, dove i tempi di realizzazione di edifici o infrastrutture si estendono ben oltre i 12 mesi.

📌 Solo in presenza di commesse ultrannuali è possibile applicare — sia civilisticamente che fiscalmente — il criterio della percentuale di completamento.


🧮 I metodi di calcolo ammessi

Tra i metodi più utilizzati:

  • Cost to cost: rapporto tra costi sostenuti e costi totali stimati;

  • Ore lavorate;

  • Unità consegnate;

  • Misurazioni fisiche.


💰 Come devono essere valutate fiscalmente le rimanenze?

La disciplina fiscale si allinea in buona parte a quella civilistica, ma con alcune particolarità importanti.

In base all’art. 92 del TUIR, le rimanenze finali dei lavori in corso su ordinazione devono essere valutate:

  • al costo, nei casi in cui non si adottano i criteri della percentuale di completamento;

  • alla percentuale di completamento, solo se la commessa ha durata ultrannuale e il criterio è stato effettivamente applicato in contabilità.

➡️ Attenzione: se in contabilità viene applicato il criterio della percentuale di completamento, anche fiscalmente l’impresa è obbligata a seguirlo, rendendo fondamentale la coerenza tra bilancio e dichiarazione dei redditi 📑.

Inoltre, il costo fiscalmente rilevante include solo i costi effettivamente sostenuti e deducibili secondo le regole del TUIR (ad esempio, sono escluse le spese non inerenti o non documentate correttamente).

💡 Esempio: se l’impresa ha sostenuto € 800.000 in costi documentati e deducibili, quello sarà il valore minimo delle rimanenze finali ai fini fiscali, salvo si applichi il criterio della percentuale di completamento che porti a un valore più elevato.


👷 Esempio pratico: impresa edile

Impresa Edile EdilProgetti Srl ha avviato nel 2024 la costruzione di un complesso residenziale, con termine previsto nel 2026.

Il contratto con il cliente è regolarmente firmato e prevede un corrispettivo totale di € 2.000.000. Alla fine del 2024, l’impresa ha sostenuto costi per € 800.000 su un totale previsto di € 1.600.000.

Applicando il criterio “cost to cost”, la percentuale di completamento è:
📊 800.000 / 1.600.000 = 50%

Quindi, l’importo da iscrivere come lavori in corso su ordinazione sarà:
📌 2.000.000 × 50% = € 1.000.000

Devo indicare i titoli di Stato per il calcolo del modello ISEE?

Dal 2025  non è più obbligatorio includere i titoli di Stato nel calcolo dell’ISEE, fino a un valore massimo di 50.000 euro per nucleo familiare. Questo vale per:

  • BOT (Buoni Ordinari del Tesoro)

  • BTP (Buoni del Tesoro Poliennali, di tutte le tipologie)

  • CCTeu (Certificati di Credito del Tesoro)

  • Buoni fruttiferi postali (anche quelli già trasferiti allo Stato)

  • Libretti di risparmio postale

Grazie a un recente aggiornamento delle regole (DM 2 aprile 2025 n. 75), si può scegliere di escludere questi strumenti dal patrimonio mobiliare ai fini ISEE, con un massimo di 50.000 euro.

Se è già presente un ISEE valido, è possibile richiederne uno nuovo che tenga conto di questa novità.